Si chiama neofobia il rifiuto ad assaggiare cibi che non si conoscono e riguarda soprattutto i bambini, con possibili effetti negativi sulla loro salute futura. «Quasi sempre il neofobico non sa spiegare il perché del suo rifiuto – spiega Michele Sculati, medico e specialista in scienza dell’alimentazione – Questa preclusione preconcetta si ripercuote in modo negativo su gran parte delle scelte alimentari decisive per la salute, come il consumo regolare di verdura e frutta. Spesso il neofobico rifiuta anche gli alimenti proteici, che siano di origine animale, o vegetale (legumi).
Le età più bersagliate sono la prima e la seconda infanzia, anche se non sono esenti le età successive. Agire presto è indispensabile. Sappiamo che la neofobia è un tratto in parte ereditario, ma è dimostrato anche che se ne possono modificare le ricadute sul comportamento alimentare. Una forte restrizione di verdure a foglia, per esempio, penalizza l’assunzione di acido folico, mentre il rifiuto alla frutta (agrumi) influisce negativamente per esempio sulla vitamina C.
La neofobia è più frequente laddove le esperienze sensoriali immagazzinate sono scarse: più il bulbo gustativo è esposto precocemente a esperienze sensoriali diverse e variegate, minore è la probabilità che il soggetto manifesti una neofobia al cibo. Il gusto sperimentatore, infatti, si allena fin dalla vita fetale. Il liquido amniotico che entra in contatto con l’orofaringe del feto trasporta anche alcune molecole che riflettono i sapori dell’alimentazione materna.
Il secondo elemento su cui si può lavorare è l’evoluzione dell’apprezzamento gustativo individuale. Che i bambini apprezzino senza incertezze il gusto dolce e, in seconda battuta, il salato e l’umami (parola giapponese traducibile con sapido), è un dato noto. Di primo acchito, invece, sono rifiutati l’amaro e l’acido, tipici di molta verdura e di quasi tutta la frutta. Ma è dimostrato che l’accettazione dei gusti può cambiare, anche radicalmente. Un esempio estremo e molto chiaro sono la mostarda e la radice di rafano (parente del nipponico wasabi).
Come si può prevenire la neofobia? Incoraggiare la madre in gravidanza a privilegiare la qualità degli alimenti, introducendo tutta la varietà di verdura (ben lavata), frutta e legumi che le stagioni offrono. Sfruttare la finestra temporale dallo svezzamento (eventualmente attraverso l’alimentazione complementare a richiesta) fino ai due-tre anni è molto più semplice che cercare di correggere, attorno ai 6 anni, abitudini acquisite.
Terzo elemento: cultura e ambiente. Offrire un cibo nuovo in un ambiente rumoroso, o poco sereno, predisporrebbe chiunque al rifiuto. Lasciare che il bambino più piccolo manipoli il cibo ignoto è fondamentale: la prima conoscenza che il bambino ha del mondo passa dalle manine. Lasciare che il bambino costruisca un’esperienza personale, con i propri tempi e modi, stimola la sua curiosità.
Di fronte a una neofobia è fondamentale non rassegnarsi, ma assaggiare o ri-assaggiare il cibo che non viene consumato abitualmente, lavorando su vari aspetti: variando la tipologia (nel caso dell’insalata provando le diverse varietà), la consistenza (per esempio, se cucinato alla piastra il radicchio ha una consistenza differente), i sapori (inserire le verdure in un burger vegetale, miscelandole ad altre, ne cambia sapore, ma anche consistenza) e facendo attenzione al contesto sociale ed emotivo. Se l’offerta viene ripetuta, anche soltanto una volta alla settimana, al massimo al mese, è più probabile che si trovino le condizioni utili all’accettazione dell’alimento.
Essere circondati da persone in ansiosa attesa rende più difficile affrontare la neofobia, mentre in un ambiente informale, in cui al consumo dell’alimento è associato un vissuto piacevole, è possibile creare condizioni più favorevoli all’assaggio.
FONTE sanihelp