Il messaggio pubblicato a pagina 39 del quotidiano Il Messaggero, cronaca di Roma, di ieri 2 febbraio è chiaro: “Raggiunto l’accordo per il Comune di Roma. Tutti i residenti nel Comune di Roma possono usufruire della convenzione. 290 euro ad impianto” e sotto la postilla, scritto in (molto) piccolo che chiarisce “il costo è riferito al solo impianto”. Forse non abbastanza visto che chi ce l’ha segnalato via mail chiede se eravamo a conoscenza che il Comune di Roma avesse fatto una convenzione con quel Centro odontoiatrico.
Ma la pubblicità non dice “raggiunto l’accordo con il Comune di Roma”, ma “per” il Comune di Roma, dove la parola comune non è intesa come istituzione ma come area geografica.
Probabilmente l’accordo raggiunto è quello intercorso tra la proprietà del Gruppo Dentaldent e la clinica romana per offrire l’impianto a un prezzo vantaggioso per i concittadini.
Dopo il decreto Bersani, grazie al quale sono state abrogate alcune norme relative alla pubblicità, è da tempo in atto un ampio dibattito sul quale sia il messaggio corretto e quale quello scorretto. E la cosa diventa ancora più complicata perché poi, come potrebbe capitare per quello pubblicato su Il Messaggero, c’è anche l’incognita su come il messaggio viene interpretato dal lettore.
“Questo messaggio -commenta ad Odontoaitria33 il presidente nazionale CAO Giuseppe Renzo (nella foto)- mi sembra sia l’ennesimo esempio, deplorevole, di forme pubblicitarie che inquadrano l’esercizio della professione odontoiatrica come mera attività commerciale che deve promuovere l’immagine profondamente errata di un professionista della salute che si comporta come un imprenditore spregiudicato che deve attirare clienti, per ottenere il massimo profitto in termini economici nella sua “azienda”.
E’ di tutta evidenza che queste forme di pubblicità ingannevole dovrebbero essere sanzionate dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato (Antitrust). avviene, purtroppo, il contrario, in quanto la stessa Autorità tende a privilegiare soltanto una malintesa logica di tutela della libera concorrenza senza comprendere che in sanità tutto quello che è “a buon mercato” non garantisce in alcun modo la salute dei cittadini.
Si tratta di aspetti di grande rilevanza, infatti, il diritto alla salute non può essere tutelato quando il danno derivante da una informazione scorretta si sia già manifestato.
Non sempre è possibile risolvere questioni di danno biologico soltanto attraverso un intervento economico risarcitorio che non potrà mai garantire il recupero della salute del paziente.
Il buonsenso, quindi, dovrebbe portarci a ritenere fondamentale un intervento preventivo, a livello disciplinare delle CAO provinciali.
In questo ambito, è stata da tempo presentata, dalla CAO nazionale al Ministero della Salute, uno schema di codice comportamentale con regole definite che riguardano la comunicazione pubblicitaria in sanità.
Qualche segnale positivo, comincia a pervenire e ci auguriamo che anche il legislatore sappia finalmente dettare regole corrette sull’informazione in materia sanitaria, tenendo presente che il cittadino è spesso disarmato di fronte a forme pubblicitarie distorte ed ingannevoli.
Invece oggi i presidenti CAO devono verificare la veridicità dei messaggio e poi, eventualmente, intervenire. Ma questo è praticamente possibile?
La normativa vigente, non consente più un intervento preventivo alle Commissioni disciplinari ordinistiche, ma soltanto un eventuale azione successiva alla pubblicazione di messaggi pubblicitari scorretti che nel frattempo hanno già prodotto il loro effetto negativo.
Nel caso di specie, sono certo che il presidente della CAO di Roma, competente per territorio, interverrà attivando le opportune procedure anche disciplinari per reprimere quello che sta avvenendo.
Non posso esimermi, però a questo riguardo, di ricordare un problema contingente ma ormai di durata notevole, che riguarda la mancata riattivazione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS), organo disciplinare di secondo grado avverso i ricorsi contri i provvedimenti disciplinari irrogati dagli Ordini.
In buona sostanza il professionista colpito da una sanzione, anche grave, irrogatagli dall’Ordine, con il semplice ricorso alla CCEPS può sospendere l’efficacia della sanzione e continuare ad operare senza alcun timore.
In questa vicenda, paradossalmente, gli incolpevoli Ordini vengono accusati, come è successo anche di recente perchè non svolgerebbero i loro compiti.
Chiedere ogni volta l’intervento all’Autorità, visti i tempi delle risposte, rende di fatto inutile ogni intervento. La pubblicità nel metre raggiunge l’effetto sperato e poco cambia se poi vengono sanzionati o gli si impone la rettifica, non trova?
Ritengo che il potere disciplinare sugli iscritti anche nel campo di eventuali violazioni deontologiche sulla pubblicità sanitaria, debba rimanere competenza dell’Ordine.
L’intervento dell’Antitrust che finalmente colpisse queste forme di pubblicità scorretta costituirebbe comunque un deterrente importante per stabilire una nuova cultura nella valutazione dei messaggi pubblicitari in campo sanitario, che permetterebbe, in breve tempo, di superare l’odierno “far west”. Non si tratta, dunque, di interventi a rettifica che certamente servirebbero a ben poco, ma di promuovere una nuova forma di correttezza nella pubblicità sanitaria per cui sarebbe necessario anche un intervento normativo, primo fra tutti quello della riforma della c.d. Legge Bersani (L. 4/08/2006 n°248).
Ma poi, se viene fatta e a verifica avvenuta, i presidenti CAO sanzionano?
Lo affermo con cognizione di causa. Gli interventi disciplinari delle Commissioni Albo odontoiatri, sono i più numerosi, in termini percentuali, fra tutte le professioni sanitarie.
Non lo dico io, lo dicono i dati che ci ha fornito la Commissione Centrale Esercenti le professioni sanitarie.
Certamente, non tutti i presidenti provinciali CAO hanno la stessa solerzia e capacità d’intervento, bisogna sempre migliorare, ma è indiscutibile che la maggior parte degli stessi presidenti svolgono con grande impegno il compito di garanti della deontologia intervenendo tempestivamente.
Occorre, infine, ricordare che non è più il tempo del “galleggiamento” e delle mezze misure, occorre riappropriarsi con coraggio del governo della nostra professione.
Anche perché i colleghi iscritti agli albi, fortemente motivati dalla persistente crisi economica, sulla
questione della pubblicità (come credo ed auspico) non accetteranno più alibi di sorta.
La CAO cheide la revisione della Bersani per quanto riguarda al possibilità di fare pubblicità in ambito sanitario. Quale è stata la risposta della politica? Quali le azioni che intraprenderete? Sarete supportati anche dalla parte medica?
La modifica della legge Bersani, costituisce senz’altro la strada più breve per reprimere forme di pubblicità sanitaria scorrette ed indecorose. I politici, come spesso accade, sembrano consapevoli del problema e si dichiarano favorevoli a questo intervento di riforma.
Sappiamo tutti, però, che il passaggio dalle “buone intenzioni” alla concreta realizzazione degli obiettivi è molto lungo e pieno di insidie e trabocchetti. Stiamo cercando di operare al meglio, anche attraverso un incremento dei rapporti con gli uomini di buona volontà, che per fortuna, esistono anche in politica, per arrivare al risultato.
Stiamo studiando, anche da un punto di vista giuridico, la possibilità di far approvare un regolamento ministeriale, o ancor meglio un D.P.R, che sulla falsariga di quanto già codificato con il D.P.R. n. 137/2012 ( Regolamento sulla riforma degli Ordini Professionali) stabilisca regole più incisive sulla pubblicità dell’informazione sanitaria, garantendone la legittimità, ma delineando un sistema di regole e garanzie, che non la rendano ingannevole nei confronti dei cittadini.
Per quanto riguarda i medici, posso affermare con piena convinzione che, se c’è un tema su cui tutte le professioni sanitarie sono d’accordo (quindi non solo i medici e gli odontoiatri) è quello di una nuova disciplina della pubblicità in materia sanitaria rispettosa dell’etica a tutela non della corporazione ma dei cittadini utenti.
FONTE: odontoiatria33
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