Mantenere una buona salute orale potrebbe aiutare nel ridurre il deterioramento cognitivo legato all’età, ma i meccanismi che determinano questa relazione non sono chiari, secondo i risultati della prima revisione sistematica condotta sull’argomento. Ne è autore Bei Wu della Duke University, che ha ammesso il fatto che, al momento, l’associazione è ancora debole e sono necessari ulteriori dati.
“L’evidenza clinica suggerisce che la frequenza dei disturbi legati alla salute orale aumenta in modo significativo nelle persone anziane con funzioni cognitive compromesse, in particolare in quelle affette da demenza. – ha affermato il dottor Wu – Inoltre, molti dei fattori associati con una scarsa salute orale, come una nutrizione insufficiente e la maggior frequenza di malattie sistemiche come il diabete o le patologie cardiache, sono stati osservati anche in caso di deterioramento cognitivo”.
La ricerca nei database di letteratura scientifica ha permesso di individuare 56 studi pubblicati tra il 1993 e il 2013, 40 di tipo trasversale e gli altri 16 longitudinali; tra questi ultimi, 11 hanno esaminato gli effetti della salute orale sulle condizioni cognitive e sulla demenza, mentre gli altri cinque hanno analizzato il meccanismo inverso.
Gli studi che hanno considerato il numero di denti rimasti nel cavo orale o il numero di quelli cariati non hanno permesso di ottenere risultati di qualche rilevanza statistica a causa dei ridotti campioni esaminati. Risultano invece un po’ più significativi i dati relativi alle cattive condizioni del parodonto: alcuni trial hanno individuato una correlazione tra la salute gengivale e la profondità delle tasche e il declino cognitivo, ma altri studi non hanno fornito conferme in tal senso.
Non avendo trovato una relazione causale diretta tra i due fenomeni, gli autori ipotizzano che certi stati infiammatori possano rappresentare fattori che predispongono contemporaneamente sia alla cattiva salute orale che al declino cognitivo: non esistono ancora prove, ma secondo Bei Wu sono sempre più numerosi gli indizi in tal senso, da approfondire attraverso l’analisi dei biomarker dell’infiammazione nelle diverse tipologie di pazienti.