È destinato a far parlare molto di sé il recente articolo pubblicato su una delle migliori riviste di settore, il Journal of Dental Research. Non a caso gli autori Finlandesi arrivano a proporre come il numero di elementi dentali mancanti, da tempo marcatore surrogato per parodontite attuale o pregressa, possa designare un aumentato rischio di incidenti cardiovascolari, diabete mellito e mortalità (per qualsiasi causa).
Indice così importante da poter essere aggiunto, secondo gli autori, come ulteriore elemento da considerare nella valutazione del profilo di rischio cardiovascolare. Non solo: potrebbe addirittura essere un buon segnalatore del livello di salute generale, utile ai medici generici per riferire i propri pazienti a ulteriori indagini specialistiche.
Quale il razionale? Lo studio pone le basi nei possibili meccanismi che correlano quadri di infiammazione orale, come quelli legati alla parodontite, con uno stato di infiammazione diffusa, tale da favorire lo sviluppo di malattie croniche sistemiche, dal diabete alle patologie cardiovascolari. Queste ultime da tempo problema particolarmente sentito in Finlandia, tanto da finanziare l’ampio progetto “National FinRirsk 1997” sui fattori di rischio cardiovascolare, dal cui ambito nascono anche i dati di questo lavoro.
Una coorte di pazienti, scelti a caso dal registro nazionale, furono seguiti nel tempo per identificare i principali fattori di rischio e agire, poi, su essi a scopo preventivo. Al tempo zero (nel 1997), vennero somministrati, ai pazienti selezionati, alcuni questionari sulla loro salute generale insieme all’invito per una visita medica, dove, insieme alla presa di alcuni parametri generali (come la pressione arteriosa), i soggetti ricevettero un’ispezione intraorale da parte di un’infermiera istruita a contare il numero di denti “mancanti”, ma non particolarmente formata a discriminare la presenza eventuale di protesi fisse oppure su impianti.
Dopo circa 13 anni, si andò a vedere, in base ai principali registri sanitari, lo sviluppo di accidenti cardiovascolari (malattie coronariche, infarto acuto del miocardio e ictus), nuove diagnosi di diabete oppure la sopravvenuta morte dei soggetti.
Per rispondere alla domanda: «quanti denti devono mancare per essere a maggior rischio?», nell’analisi dei dati, i ricercatori propongono un accorpamento per classi su un totale 32 denti (includendo, quindi, anche i denti del giudizio): 0-1 dente (classe I), 5-8 denti (classe II), 9-31 denti (classe III), edentuli totali (classe IV).
Dopo correzione per eventuali fattori di rischio ulteriori quali età, sesso, precedente malattia cardiovascolare o diabete, fumo, colesterolo e obesità, la categoria in generale più a rischio risultò quella di classe III, con 9-31 denti mancanti. Questa mostrava un picco di rischio (Hazard Ratio, HR=1.51) per gli incidenti cardiovascolari in generale, in particolare per le malattie coronariche (HR=1.99); il rischio rimaneva alto anche rispetto ai casi di infarto del miocardio, per i quali il picco compariva addirittura nella categoria precedente (classe II, 5-8 denti mancanti). Esaminando mortalità per tutte le cause e sviluppo di diabete, il rischio era ancora una volta aumentato in presenza di elementi mancanti, con apice nei soggetti edentuli (HR= 1.68 e 1.56, rispettivamente per mortalità e diabete).
Quale sia il motivo di queste associazioni, ad oggi non è ancora ben chiaro. L’alterata masticazione dei soggetti parzialmente o totalmente edentuli non pare essere una ragione soddisfacente.
In attesa di ulteriori conferme, considerare il numero di denti mancanti pare migliorare la valutazione del rischio, soprattutto in termini di mortalità per tutte le cause, tanto da suggerirne la stima nella visita generale del paziente, come avviene per fumo e alimentazione.
fonte: http://www.dentaljournal.it/cosa-e-in-grado-di-predire-il-numero-di-denti-mancanti/